Sezione scripta manent
Il Museo ospita la sezione Scripta manent, dedicata a una parte della collezione epigrafica conservata per il resto nei locali-deposito. Le iscrizioni rappresentano manufatti di straordinaria importanza, trattandosi di documenti che pervengono al giorno d’oggi senza mediazione alcuna. Per lo più si tratta di iscrizioni funerarie in cui compaiono il nome del defunto e, molto spesso, l’indicazione del patronimico e degli anni vissuti. In alcune epigrafi può esservi un saluto in forma poetica: un esempio particolare è l’espressione “et vale et ame” impiegata come formula di saluto in un testo di epoca molto tarda. L’orizzonte cronologico della collezione va dal I al IV sec. d.C.
Almeno una delle epigrafi esposte, proveniente dalla rocca di Montecelio, non presenta invece le caratteristiche modulari dei tituli funerari: ha infatti lettere capitali di grandi dimensioni e probabilmente era affissa su un edificio pubblico (quasi sicuramente il tempietto del I sec. d.C. ivi esistente) per commemorare e celebrare un evento o un personaggio (forse autore della costruzione o di un restauro). Un’unica epigrafe è scritta in greco, purtroppo poco leggibile e integrabile dato lo stato assai frammentario.
Tra le epigrafi funerarie di I-III secolo colpisce quella di un infante, trovata reimpiegata nel pavimento di un’abitazione medievale a Montecelio, della quale, purtroppo, è ignoto il contesto di provenienza: dopo l’invocazione agli Dei Mani si legge il nome di Publio Elio Marco, vissuto solamente 2 anni e 28 giorni. Singolare è quella del giovane adolescente Teodoro, caratterizzata dalla presenza di punti fra ogni lettera. Una delle iscrizioni più conservate e meglio leggibili è quella commissionata da Marco Calpurnio Aquila e Prisca che dedicano la tomba al loro figlio “karissimo” morto a 18 anni e 2 mesi.
Monumentale è l’epigrafe di Lucio Asinio Labeone, figlio di Lucio, iscritto alla tribù Palatina, quattuorviro giurisdizionale nel municipio di Cures Sabini (città sabina presso l’odierna Passo Corese). È costituita di due parti non combacianti, di cui una è un calco dell’originale, conservato nel Lapidario Profano ex Lateranense dei Musei Vaticani, poiché rinvenuta nel 1838 in loc. Selva di Monticelli. La parte a sinistra, di cui è esposto anche il frammento originale, è stata invece rivenuta nel 1979 presso la grande villa romana in loc. Santo Stefano nella valle del Vazoletto, lungo via del Cannetaccio sotto Montecelio. L’iscrizione, con cornice a kyma lesbio continuo, è databile in base al modulo delle lettere al I sec. d.C. e, come suggerisce la superficie leggermente convessa, doveva essere inserita in una tomba di forma circolare.
Completa la sala il cippo centinato in travertino, con la superficie lavorata a martellina, che contrassegnava la tomba del liberto T. Rausius Agapomenus (50 d.C. ca.), riutilizzata come moderno termine di confine in loc. Tre Ponti o Immagine, lungo la via di valle Pantana diretta a Palombara Sabina.
Infine la collezione comprende un’epigrafe cristiana databile circa al IV secolo, di tipo funerario, con graffite le lettere […I]N PACE che seguivano in genere il nome del defunto, rinvenuta tra i resti della villa in loc. Santo Stefano. Dal reperto si deduce che nel luogo esisteva un edificio di culto con sepolture già in età paleocristiana, anteriore alla medioevale ecclesia Sancti Stephani.