Statua di Musa
Si tratta di una statua in marmo bianco, alta 124 centimetri, databile al periodo compreso tra la fine del II e il III sec. d.C., scoperta grazie alle indagini svolte dai militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma nel corso di accertamenti antiriciclaggio.
La figura, con la gamba sinistra leggermente avanzata ed entrambi i piedi sporgenti dall’orlo del panneggio, è interamente vestita. Indossa un chitone lungo fino ai piedi, con apoptygma, cinto da un sottile cordone sotto il seno, e reca un mantello che scende largo a coprire la schiena, fermato sulle spalle da due lembi ricadenti a triangolo. Le Muse, figlie di Zeus e Mnemosine, ispiratrici delle arti, poste sotto la guida e protezione di Apollo, divennero già in età classica un soggetto ricorrente nella statuaria ad opera di celebri scultori (Cefisodoto, Prassitele, Lisippo) con iconografia sempre più riconoscibile, grazie a differenti attributi, vesti e postura. In età tardo-repubblicana e imperiale vennero predilette in mosaici, pitture, rilievi; di qui i frequenti rinvenimenti in villae e domus.
La statua conservata presso il Museo Civico Archeologico “Rodolfo Lanciani” corrisponde perfettamente al tipo iconografico utilizzato soprattutto per Clio, la musa della poesia epica e della storia. Gli attributi di questa musa sono il dittico (la coppia di tavolette legate insieme su cui scrive) tenuto con la mano sinistra, generalmente all’altezza della vita, e lo stilo nella mano destra, che può essere discosta e alzata, abbassata o, più di rado, protesa verso un calamaio. Nonostante le mutilazioni e l’esecuzione riconducile a un lavoro di bottega, l’opera conserva i caratteri fondamentali del tipo iconografico di riferimento (soprattutto lo slancio verticale e l’impostazione della figura) che ne fanno un reperto archeologico di indubbio interesse.